Iacumin e i segreti di Aquileia


Non molti, se non nella sua patria Aquileia, ricordano Renato Iacumin,  nato all’ombra del campanile poponiano. Scomparso nel 2012, Iacumin era un uomo schivo, timido ma dietro agli occhiali spessi celava un sorriso aperto  e sopratutto una volontà di ferro. Suo padre, funzionario al Museo archeologico, ogni tanto faceva la guida alla Basilica e lui, bambino lo accompagnava: nella selva dei simboli, di animali, di fregi, c’ erano quei cerchi così strani: “Ma tata, sun stelis!” ( ma papà sono stelle!) diceva nella sua lingua friulana , e il padre lo zittiva: “Cui ch’al non sa ch’al tasi”( chi non sa deve tacere). Ma quegli occhi di bimbo, come spesso accade, avevano ragione: i cerchi racchiudono simboli celesti, abbastanza comuni nell’iconografia mesopotamica ed egizia. Il mondo antico viveva di simboli, che rappresentavano una sorta di linguaggio figurato: talvolta trasmettevano messaggi immediatamente percepibili anche al popolo, altri presupponevano conoscenze più profonde ed erano destinati a una elite colta. Resta il fatto che per molti studiosi ancora oggi, quei mosaici rimangono un fatto puramente decorativo. Ma per quale motivo animali come capre, gallinelle, un’astice, sono raffigurati in modo stravagante in cima ad alcuni alberi? Le risposte che aveva intuito e quindi provato Iacumin sono di eccezionale interesse, mostrano un volto ancora sconosciuto di Aquileia e la valorizzerebbero in maniera straordinaria se solo Iacumin non fosse stato osteggiato da alcuni ambienti religiosi: le sue teorie infatti mostravano come il cristianesimo primitivo aveva risentito di influenze non proprie ortodosse sul piano della Fede: come ad esempio la filosofia Gnostica. Lo intervistai una decina d’anni fa, in una bella giornata di maggio, passeggiando davanti alla Basilica. Ecco il testo.

 

Gli studi di Renato Iacumin investono il mondo rarefatto della simbologia delle civiltà mediterranee, non lo allontanano dalla concretezza del mondo e addirittura della politica, dalla quale trae senz’altro una parte della sua vis polemica, peraltro mai esacerbata. La sua avventura è lunga: “Studio i mosaici di Aquileia da 35 anni – incomincia – il tempo necessario per rendersi conto che l’archeologia è ancora un mondo dogmatico, poco aperto a nuove interpretazioni, anche se suffragate da dati incontrovertibili. Oggi c’è scarsa interdisciplinarietà e questo è un aspetto limitante. Per trovare le chiavi interpretative dei mosaici più antichi, quelli dell’Aula Nord, che oggi stanno sotto il campanile, non basta possedere conoscenze d’archeologia, per quanto approfondite esse siano, ma bisogna aver approfondito anche filosofia e  religioni, senza dogmi precostituiti. I concetti base del cristianesimo primitivo sono stati modificati già dalla seconda metà dell’Ottocento e hanno ribaltato una concezione rigida e poco realistica sulle sue origini. Il cristianesimo dei primi decenni dopo la morte di Cristo non si è ancora perfettamente definito nei suoi riti e nelle sue fondamenta dottrinali. E’ un mondo magmatico, ricco di influenze e suggestioni orientali, tanto che San Paolo si fece carico del grande problema di richiamare i cristiani all’ortodossia. Soprattutto in quello che oggi si chiama Medio Oriente nacquero comunità, generalmente ascetiche e spesso a carattere esoterico, che interpretavano il messaggio di Cristo attraverso suggestioni culturali egiziane, caldee, mesopotamiche.”

E l’Aquileia imperiale, nel primo e nel secondo secolo dopo Cristo, uno dei primi porti di Roma, era il terminale, in Occidente, di quel mondo complesso, con cui intesseva una fitta rete di contatti, non soltanto commerciali. “Ad Aquileia – continua Iacumin – si pubblicavano gli “Edicta de pretiis” da cui si evince che per raggiungere Alessandria, allora faro culturale del Mediterraneo, si impiegavano dodici giorni di navigazione; per il ritorno, con i venti più sfavorevoli, ce ne volevano quindici. Era comunque un’inezia per quei tempi, tanto che si può affermare che Aquileia era funzionalmente più vicina ad Alessandria che a Roma. Del resto, la lingua franca che si parlava nel porto e in città era una sorta di koinè greca, che era il linguaggio internazionale dell’epoca e di cui abbiamo trovato numerose iscrizioni ad Aquileia”. Come oggi l’inglese?  “Proprio così. Ovviamente ci si scambiavano le merci, ma come sempre accade, anche arte e cultura, conoscenza. In questo quadro è molto probabile che una comunità di cristiani ellenistici abbia messo le radici in questa città, creando una piccola comunità, senz’altro facoltosa per i commerci che vi svolgeva e di conseguenza anche acculturata.”
Si riunivano in quella che avrebbe poi dovuto diventare l’Aula Nord già nei primi due decenni del terzo Secolo: e Iacumin retrodata quindi i mosaici più antichi di Aquileia di almeno un secolo. Erano il pavimento “parlante” di una casa-chiesa gnostica che lentamente , nel corso di un secolo fu assorbita dai cristiani ortodossi, che cambiarono anche alcuni simboli ( drago) : un tragitto tripartito verso la conoscenza di cui oggi ci restano le tracce di un solo itinerario, quello di sinistra, mentre gli altri sono stati perduti per sempre , distrutti dalle fondamenta del campanile. Fu quindi costruita la grande aula Sud, sulla quale oggi sorge la Basilica e quindi un’ aula altrettanto grande e parallela che inglobò la preesistente casa-chiesa degli gnostici.

Torniamo ai mosaici e parliamo sempre di quelli  più antichi, che furono scoperti nei primi decenni del secolo. Tanti sono i motivi per Iacumin, che ne era affascinato fin a ragazzo, per capire che dietro quegli animali, quegli elementi che sembravano soltanto decorativi, si nascondevano significati ben più profondi. “C’erano ad esempio le stelle – dice – che presupponevano un linguaggio basato sull’astronomia. Di primo acchito pensai a influenze mitraiche ( dal dio Mitra, una religione che conobbe una grande diffusione negli ultimi secoli dell’Impero, soprattutto nelle zone orientali): ma la loro dislocazione e l’ordinamento non corrispondevano affatto alla cosmologia mitraica. Andando per esclusione quella costellazioni sembravano piuttosto una deviazione della dottrina tolemaica, sui cieli planetari. Interpretazione deviante anche perché se l’impostazione era la stessa, i cieli non corrispondevano all’ipotesi  del grande Tolomeo, secondo il quale i cieli planetari sono sette. Ad Aquileia erano solo cinque: Mercurio, Venere ,Terra, Marte, Giove, Saturno.  Mancavano Sole e Luna, i due ultimi nella sequenza tradizionale.” E l’unico testo antico che ci riporta un cosmo con questo modello è quello gnostico che si chiama Pistis Sophia ( che significa Fede Sapiente). Luna e Sole mancano perché, rappresentando la Madonna (Luna) e Cristo (Sole), si immaginano assunti nel Cielo Divino.

Un enigma complicato, a tratti irrisolvibile anche per l’obiettiva mancanza di testimonianze, ma Iacumin è testardo. Si accorge che tra i tredici testi gnostici scoperti a Nag Hammadi, località egiziana  sulla riva sinistra del Nilo, ce ne sono tre che narrano di Gesù che ritorna sulla terra dopo la Resurrezione per spiegare ai suoi discepoli le verità del Cosmo. “Bene, quel racconto si sovrappone perfettamente alla concezione cosmologica espressa figurativamente sui mosaici più antichi di Aquileia. Dopo cinque cieli planetari ( non sette come nella dottrina tolemaica), nel Cielo delle stelle fisse il testo di Na Hammadi elenca alcune costellazioni.” Il sistema gnostico è di grande complessità e contemporaneamente di remota inattualità. Lo gnosticismo era un sistema religioso-filosofico che possedeva uno iato concettualmente insormontabile con il cristianesimo, per il quale la Salvezza è alla portata di tutta l’umanità: la gnosi  era un sistema filosofico- religioso esoterico, che si rivolgeva a soli iniziati, che dovevano conoscere la verità anche attraverso l’interpretazione di una cosmogonia simbolica che era un vero e proprio linguaggio visivo. L’antico pavimento musivo di Aquileia cela quindi, secondo Iacumin un complesso ma preciso percorso iniziatico verso la Conoscenza ( la Pistis Sophia) e che poteva essere compresa e capita soltanto da chi conosceva quel linguaggio. Dopo anni di intensi studi, compresa la chiave cosmogonica alla base della raffigurazione, Iacumin capì che la sua costruzione teorica si adattava perfettamente all’interpretazione dei mosaici.

“Parliamo dei quattro alberi tra le cui fronde è raffigurato un animale: in origine dovevano essere cinque, poiché uno è andato distrutto in Pistis Sophia i “cinque alberi” fanno parte, con altri simboli numerici, del cosiddetto Tesoro di luce. Gli alberi rappresentano ognuno mille anni di storia dell’umanità. Ogni albero rappresenta un millennio di storia passata dalla creazione: gli gnostici ritenevano infatti, attraverso la lettura della Bibbia, di vivere nel sesto millennio. Gli animali rappresentano costellazioni. Ogni millennio trascorso viene proiettato nel cielo delle stesse fisse: l’albero che con un’interpretazione banale viene detto dell’Aragosta rappresenta in realtà la costellazione del gambero, ovvero il Cancro, che comprende quel settore del cielo in cui al Solstizio d’estate il Sole sembra fermarsi, per tornare indietro, appunto come fa il gambero. Un particolare importante, a suffragio della tesi di Iacumin: il pesce che sovrasta il Gambero è una torpedine, ovvero “il pesce che paralizza” che rappresenta simbolicamente il profeta Giosuè, che nella Valle di Assalonne disse “fermati o Sole!”

E’ chiaro che a interpretare un linguaggio simbolico così complesso erano soltanto degli iniziati, uomini di profonda cultura , un elite, anche perché gli gnostici non facevano proselitismo. “Su un altro albero – prosegue Iacumin – c’è, evidente, il Capricorno; il terzo, con sopra le gallinelle rappresenta le Pleiadi, che a quel tempo erano considerate costellazione a sé, mentre oggi sono comprese in quella del Toro. Su un altro albero ( fig. ..) c’è quella strana e deforme figura che dovrebbe rappresentare ufficialmente l’agnello sacrificale, che oggi ci appare deforme, maldestramente ritoccato. In realtà quella strana figura rappresentava il Drago e rappresentava l’omonima costellazione che si trova a nord tra le due Orse: nella tradizione gnostica il Drago non aveva nulla di demoniaco, ma rappresentava il Demiurgo o Archigenitor colui che ha generato il mondo sotto il Pleroma , in conformità alla tesi degli gnostici secondo cui Dio, Essere Perfetto, non può avere creato qualcosa d’ imperfetto. Il Drago custodisce una cesta in cui sono disposte le dodici ostriche perlifere: le dodici perle simboleggiano per gli gnostici le anime dei dodici apostoli. L’albero mancante conteneva con ogni probabilità la figura del Leone.”

E il famosissimo pannello che rappresenta il gallo e la tartaruga? “Semplificando – dice Iacumin –  il Gallo rappresenta la Luce e il mondo spirituale mentre la Tartaruga le tenebre e la Materia. In mezzo c’è l’oggetto conteso, ovvero un ampolla che contiene il profumo che rappresenta la perfezione e lo spirito, che si espande dappertutto. Lo gnosticismo era caratterizzato da un accentuato dualismo tra anima e materia, che trovava la sua sintesi appunto nella Gnosi, la conoscenza.”

ANTONIO DEVETAG