ISLAM E CRISTIANESIMO


Intervista di uno studente laureando tedesco al Prof. B. Tellia

Traduzione del prof. V. Kosic validata dal prof. Tellia.

Questo testo riporta le risposte date da Bruno Tellia al questionario inviato anche a lui da uno studente universitario tedesco impegnato nella stesura della tesi di laurea. Tellia ha pubblicato nel 2009 un volumetto dal titolo Come si perde la sfida islamica, un titolo solo apparentemente provocatorio in quanto la realtà sta a confermare che il risveglio dell’Islam e la sfida che ha lanciato su scala globale, dal Mali alle Filippine, dall’Europa alla Cina, sta avendo successo. Per quanto ci riguarda direttamente, l’Europa non sa o non vuole o non può reagire. Per tanti motivi: demografici (la popolazione autoctona è in costante declino, i tassi di fecondità fra le donne musulmane sono 2,5-4 volte superiori a quelli delle donne europee), politici (l’Europa è debole e irrilevante nelle relazioni internazionali), economici (la dipendenza dai paesi musulmani è grande, come il conseguente ricatto), culturali (il rinnegare le proprie radici giudaico-cristiane e greco-romane la rende priva di qualsiasi riferimento; non è un riferimento sufficiente la Carta dei diritti di Nizza), religiosi (la secolarizzazione ha eliminato la dimensione del trascendente, e le chiese cristiane sono prive di qualsiasi strategia). A ciò si aggiunga che l’imperante cultura di sinistra radicale, fortemente antioccidentale e anticapitalista, privata dei tradizionali supporti dell’Unione sovietica e della Cina (fra poco anche di Cuba), ha pensato di trovare un forte ed agguerrito alleato nell’Islam. Tali idee furono apprezzate da un sociologo tedesco (trovò il libretto in una libreria di Grado mentre era in vacanza) che propose di ampliarle, approfondirle e adattarle al mondo tedesco. Ne è uscito, nel 2013, a nome di Bruno Tellia e Berthold Loffler  il volume Deutschland im Werte-Dilemma. Kann der Islam wirklich zu Europa gehoren?

 

1) Quale è la sua cultura? Dove è nato e cresciuto?

Sono nato e vivo in Italia. Ho viaggiato per lunghi periodi in tutti i cinque continenti, entrando in contatto con culture diverse, persone differenti, religioni eterogenee. Ho avuto la possibilità di apprezzare le tante culture con cui sono venuto in contatto nei paesi visitati, e di confrontare il mio background culturale con altre “Weltanschauung (concezioni del mondo”), altre organizzazioni sociali, altri costumi. Alla fine, ho rafforzato la mia identità europea, definendola con le parole con cui Benedetto XVI si rivolse al Parlamento tedesco:

“La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa. Nella consapevolezza della responsabilità dell’uomo davanti a Dio e nel riconoscimento della dignità inviolabile dell’uomo, di ogni uomo, questo incontro ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali è nostro compito in questo momento storico. (Reichstag Building, Berlin, 22 September 2011)

2) Quando e per quale ragione ha avuto modo di accostarsi per la prima volta con la religione dell’Islam?

 Alla fine degli anni ’60, quando ero uno studente laureando presso l’Università del Wisconsin (USA), ho avuto come compagno di stanza un musulmano (Malesia). Agli inizi degli anni ’80 ho iniziato a visitare paesi musulmani, come turista o grazie a programmi di cooperazione allo sviluppo.

3) Nel corso della sua vita si è trovato in circostanze in cui ha avvertito la certezza, che l’Islam fosse sinonimo di pace? Quando e in quale circostanza ha maturato tale convinzione?

Ho incontrato molti musulmani, in diversi contesti sociali, profondamente religiosi, compassionevoli, pacati. Queste esperienze mi fanno credere che ci sia un Islam nobile e disponibile al confronto, vissuto da uomini e donne con una forte fede e con una profonda serenità d’animo e di intelletto.

4) E, sempre nel corso della sua vita, si è trovato in situazioni in cui ha avuto la convinzione che l’Islam fosse sinonimo di violenza o che l’Islam fosse collegato con la violenza? Quando e per quale ragione è giunto a tale conclusione?

Il convincimento che ci sia un Islam che non solo giustifica, ma che addirittura impone la violenza, la guerra, l’oppressione è cresciuta attraverso diverse esperienze.

  1. a) Viaggiando nei paesi musulmani e nei paesi dove ci sono forti minoranze musulmane, spesso concentrate in un unico territorio.
  2. b) Guardando a quello che succede in giro per il mondo.
  3. c) Approfondendo la storia dell’espansione islamica.

Il problema con l’Islam, e l’origine della sua dimensione violenta, è legato al fatto che in esso la religione, la politica e la cultura sono strettamente collegati. L’unico modo per liberare l’Islam dalla violenza sarebbe quella di separare le dimensioni culturali e politiche da quelle religiose. Ma l’operazione appare alquanto difficile, perché:

  • Il Corano è l’ultima rivelazione di Dio per l’umanità, dettata direttamente a Maometto, il suo ultimo Profeta. Quale essere umano potrebbe cambiare le parole che incitano alla violenza espresse per bocca dell’ultimo profeta divino?
  • Per molti regimi la legittimazione deriva dall’applicazione della Sharia: Perché dovrebbero provare a liberare l’Islam dalle incrostazioni politiche e culturali? Il califfato esprime la perfetta sintesi delle tre dimensioni: politica, religiosa e culturale.
  • Molti leader religiosi mussulmani rafforzano il loro potere politico enfatizzando e facendo leva sulla predicazione radicale e violenta dell’Islam.

5) Il Cancelliere federale tedesco Angela Merkel ha dichiarato qualche mese fa: “L’Islam appartiene alla Germania”. Condivide questa affermazione? Può motivare la sua risposta?

 Assolutamente no. A differenza di altre aree europee (i Balcani, l’Italia meridionale, la Spagna, il Sud della Francia, ecc), l’Islam non ha mai raggiunto la Germania prima che i flussi migratori avessero luogo (la cavalleria musulmana arrivò a Ragensburg – 1529 – ma fu respinta in breve tempo). Durante la conquista di alcune parti del Sud europeo nel Medioevo, l’Islam ha lasciato in eredità alcuni beni culturali considerevoli.  I musulmani collegati ai flussi migratori recenti si richiamano a “valori” anacronistici, a comportamenti e modi di vita antagonisti e contrapposti ai modelli sociali stabili e fondati su conquiste culturali, universalmente riconosciuti in Germania. Ciò che le organizzazioni musulmane chiedono, al contrario, è di riprodurre un modello sociale e culturale, che è profondamente diverso dal modello sociale tedesco. I musulmani non vogliono integrarsi, pretendono uno spazio proprio, esclusivo, autonomo senza alcuna interferenza, cercando inoltre di eliminare dalla società tedesca qualsiasi elemento, tratto, situazione non coerente con la propria visione del mondo, classificandolo automaticamente come espressione di ” islamofobia”.

Dato che, da un punto di vista storico, non c’è mai stato alcuno scambio tra l’Islam e la Germania e dal momento che l’Islam persegue obiettivi in contrasto con quelli perseguiti dalla società tedesca, e dato che i musulmani concepiscono la loro appartenenza alla Germania (o all’Europa), come il diritto di riprodurre il loro sistema sociale basato sul Corano, appare alquanto difficile comprendere l’affermazione della Merkel.

Una spiegazione, un’ipotesi che a cui potrei pensare ha a che fare con il pragmatismo della Merkel. La cancelliera tedesca è molto brava a trovare risposte immediate per problemi complessi, ma le manca la prospettiva di medio-lungo termine, e ciò che potrebbe sembrare utile per il presente non sempre è utile per il futuro. Questo significa che lei cavalca l’onda del momento, ciò che le suggerisce il suo istinto, e di conseguenza cambia facilmente idea. Il fatto è che, come la maggior parte dei leader europei, anche lei non sa cosa fare con il problema cruciale della presenza musulmana in Germania e in Europa e come far fronte alle minacce scoppiate dal risveglio islamico in tutto il mondo. Oppure lo sa, ma non vuole – o non può – agire coerentemente. Così, la Merkel crede di raggiungere, con una dichiarazione senza senso, un duplice obbiettivo.  Da una parte, vorrebbe rassicurare i suoi compatrioti sempre più arrabbiati e preoccupati, affermando che la Germania è in grado di gestire facilmente la questione musulmana. Dall’altra, vorrebbe convincere i musulmani che non vogliono assolutamente integrarsi nella società tedesca, che stanno vivendo nella loro società.

Il fatto è che, purtroppo, questo gioco d’azzardo non funziona.

6) A questo punto il problema centrale è il dialogo tra le due religioni. Quali sono, secondo lei, le questioni più importanti che questo dialogo dovrebbe affrontare? 

Fin dal tempo dei dialoghi di Platone, il metodo dialogico è peculiare alla cultura occidentale. Può essere utilizzato per comunicare (e imporre senza violenza fisica) le proprie convinzioni e motivazioni e per correggere gli errori degli altri; oppure per spiegare le proprie convinzioni e motivazioni e ascoltare con mente e cuore aperti le ragioni e le considerazioni degli altri. Questo metodo può coinvolgere persone, gruppi, organizzazioni, ecc.

E’ evidente che il dialogo, inteso come scambio dovrebbe essere alla base dei rapporti umani. Tuttavia, è importante tenere a mente – cosa spesso trascurata – che il dialogo, per essere fruttuoso, deve essere basato sulla verità e sulla sincerità. Solo in questo modo, infatti, il dialogo può aumentare il desiderio di favorire la comprensione, per correggere gli stereotipi, per analizzare consonanze e differenze e per stimolare la comunicazione. Altrimenti non solo è inutile, ma può essere molto pericoloso. tellia

Per molti cristiani la ricerca del dialogo è diventata l’essenza della loro fede. Ricordo che negli anni 1960 e 1970 il dialogo tra cristianesimo e marxismo era quasi obbligatorio. Secondo molti, il ” dialogo con il mondo ” è fondamentale per essere veri cristiani. Il problema è che hanno una strana idea del dialogo: la ricerca a tutti i costi solamente di ciò che può unire ed essere condiviso, anche se generico; riconoscere i numerosi errori ed i peccati dei cristiani; sottolineare la bontà degli altri, le loro qualità; fingere che la stessa parola abbia lo stesso significato anche per gli interlocutori; soffermarsi sempre e solo sulla superficie dei problemi; ecc.  Per molti cristiani il dialogo interreligioso (soprattutto quello tra Cristianesimo e Islam) è oggi necessario e indispensabile. Non dimentichiamo che il dialogo può essere istituzionale, quando si tratta di istituzioni di entrambe le parti; teologico, concentrato, cioè, soprattutto su questioni teologiche e filosofiche; spirituale, con la partecipazione a esperienze di culto comuni; comunitario, ossia il dialogo connesso alla vita quotidiana, che riguarda questioni pratiche di interesse comune.

Per i musulmani il dialogo è qualcosa di diverso. La loro critica del Cristianesimo è profondamente radicale, sorretta dalla loro interpretazione di chi era Cristo e di ciò che è successo a Lui, agli apostoli, a San Paolo, e dalla loro verità sulla fondazione della Chiesa, sulla storia, ecc. In breve, per i musulmani i cristiani hanno contraffatto la rivelazione divina (ad esempio, affermando la divinità di Cristo), hanno diffuso dottrine errate (per esempio, quella della Santissima Trinità che rende i cristiani politeisti, il peggio che si possa immaginare per l’Islam), hanno commesso errori gravi nelle pratiche religiose. Ciò significa che i cristiani dovrebbero semplicemente correggere i loro errori in base a ciò che suggerisce l’Islam; o, meglio, convertirsi all’Islam – la vera religione – dal momento che il Cristianesimo si fonda su una distorsione colpevole dei fatti e delle parole di Dio.

Ci sono, inoltre, almeno due pesanti ostacoli reali nel dialogo con i musulmani: a) l’inganno, l’occultamento della verità, la dissimulazione, la “taqiyya”(1), non solo sono permessi, ma in determinate circostanze obbligatori; b ) l’uso di narrazioni diverse, uno per il mondo esterno all’Islam e uno per il mondo interno, è pratica comune, e ciò rende problematico un vero dialogo.

Rebus sic stantibus, a mio parere, il dialogo è impossibile. Se andiamo avanti con “discorsi” fuorvianti, non fondati sulla verità, non ci sarà alcun vero miglioramento nelle relazioni tra cristiani e musulmani. Tuttavia, poiché è in atto un conflitto che non può essere negato, se vogliamo cercare di costruire un mondo migliore penso che sarebbe più proficuo assumere una prospettiva diversa, cominciando con il sostituire termini come “dialogo” e “dialogo interreligioso ” con “interazione” e “trattativa”. Saranno meno allettanti, però possono indicare un percorso concreto per evitare, se si è ancora in tempo, di cadere in una spirale di distruzione.

Aprile 2016.